DOC

Ebbene lo ammetto! Ho una malattia e da 2 giorni ne conosco persino il nome: DOC, che non sta per indicare un’estensione dei file creati con Word. E non è nemmeno riferibile all’acronimo utilizzato per certificare un marchio di origine italiana. Il mio DOC ha un significato piuttosto legato al disordine psichiatrico: ho una malattia mentale. Sono una che soffre del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Sono ossessionata dallo shopping e dunque devo acquistare. È una mania la mia, una mania che se non viene esaudita mi porta ad appanicarmi, mi getta inconsapevolmente nel mare della desolazione più totale. Non c’è negozio o commessa che non mi conosca. Entro con un sorriso che farebbe invidia ad Harvey Ball, osservo attentamente la merce esposta e non appena individuo il trofeo che dovrà gratificare la mia anima e abbellire la mia figura, in meno di 2 secondi sono già alla cassa a strisciare la carta. Digito il Pin come se stessi per dichiarare il fatidico si dinanzi alla faccia imbambolata di un prete, e il beep con cui la banca mi concede la possibilità di eseguire la transazione mi inebria come il bacio che il principe ha schioccato a Biancaneve non appena ha aperto la teca in cui era stata rinchiusa. Il senso di appagamento che mi avvolge è paragonabile quasi alla sensazione che avverto dopo un orgasmo. Divino! La tragedia peggiore avviene quando entro in un negozio e trovo una di quelle commesse da yogurt scaduto da tre mesi: mi sento morire al solo pensiero che, trovando un oggetto desiderabile, debba acquistarlo sotto lo sguardo schifato di un prototipo di antipatia. Blea! Sono le nove di un sabato mattina: il sole illumina e riscalda questa fantastica giornata di giugno. Potrei essere al mare come tutti i comuni mortali e invece sono qui, a cercare parcheggio con la mia Burago(ossia una Smart, color argento), nell’area dell’Outlet Village di Città Sant’Angelo. Vorrei invitare a cena l’ideatore di questo fantastico parco di divertimento della mia anima, per poterlo ringraziare del regalo favoloso che mi ha fatto. Passeggiare tra le strade ideate come un borgo antico mi fa andare in visibilio. E poi se penso a tutti gli affari che riesco a fare qui mi sento felicemente appagata. Dio il negozio di Guess! Che favola! Devo necessariamente entrare. Guarda che borse! Quella grigia sarebbe l’ideale per il nuovo vestito che ho comprato ieri. Anche se riflettendoci ho già … dunque, le ho contate ieri e … se non sbaglio sono 20. Sì, 20 borse grigie. Ma nessuna è bella come questa. Guarda che zip! Troppo figa. Meno male che la mia amica Camilla ha pensato bene di non venire, sai che palle mentre avrebbe tentato di impersonare i panni del grillo parlante, dicendomi che non mi sarebbe servita a nulla un’altra borsa grigia. Ma lei che ne sa. La sua vita è fatta solo di pappe, cambi di pannolini e asili nido. Io non ho un marito a cui dover riportare il resoconto degli acquisti fatti nel corso della giornata. Non ho nemmeno uno straccio di fidanzato. O meglio, ce l’ho ma è in un periodo di riflessione. Ha bisogno di chiarire le sue idee, i suoi progetti, la sua vita e in questo momento io rappresento solo un elemento di disturbo. È stata dura accettare l’idea che da un giorno all’altro da principessa del castello sono diventata non la guardiana ma bensì una del popolo. Ormai se voglio sapere cosa fa sono costretta a chiedere in giro a qualche conoscente. Per i primi giorni mi mandava qualche sms o qualche accenno su Facebook, ma poi ha smesso di fare anche quello. Non nego che muoio dalla voglia chiamarlo, ma gli mancherei di rispetto. Sarei scortese. Dopotutto mi ha chiesto un attimo di riflessione e non vedo perché non dovrei. “Posso esserle utile?”, mi domanda la commessa avvicinandosi. Meno male che sei arrivata, mi verrebbe da dirle. L’idea di Andrea, il malinconico pensiero dell’uomo che mi ha messo in stand by, mi aveva completamente distolta dalla borsa con il rischio che qualcuna, entrando, potesse fregarmela in meno di un secondo. Non ci penso due volte: mostro il mio bel sorriso e le dico con aria da intellettuale: “La prendo”. Che soddisfazione! Domani sera ho un aperitivo con le mie amiche e devo sfoggiarla. Sono alla cassa quando ascolto la voce di una ragazza che con fare dolce dice al suo uomo: “Amore, che ne dici di questa maglia? Mi starebbe bene?”. Mi viene da ridere: non ho mai chiesto un parere al mio lui. Se mi piace compro. Punto e basta. Non c’è bisogno che ci sia un lui a dirmi se mi stia bene o meno. Ma mentre sto strisciando la carta il cuore per un attimo smette di battere. “Sì, amore. Perché non la provi?”: quella voce mi sa di baci e carezze conosciute. Mi sa di Allure Homme e di frasi d’amore. Mi sa di risate e cornetti caldi con nutella e panna. Mi sa di biglietti ed sms stupefacenti. Mi sa di emozioni mai provate. Mi sa di … Andrea. Mi volto e comprendo all’istante che il mio presentimento era certo, reale. Digito il Pin, sbagliandolo per 2 volte. Chiedo scusa alla commessa mentre il rimmel mi scola sul viso. Altro che periodo di riflessione, altro che devo ritrovare me stesso. Dovevi trovare un’altra, Andrea! Avevi già scelto un’altra! E io, io come una cretina che ti ho creduto. Pensavo che mi amassi. Esco con la busta che contiene una borsa che non indosserò mai. Una borsa che mi ricorda un momento in cui il cuore ha cominciato a sanguinare.  Chissà se riuscirò a superare tutto questo! Un uomo, un signore che tra le mani ha un giornale, Si avvicina. Mi allunga un fazzoletto. Devo essere proprio brutta da guardare! “Non pianga. Ha degli occhi così belli!”, mi dice con voce paterna. “Sono malata, malata di DOC, Dolore Originato dal Cuore”, rispondo mentre provo a sorridere. La vita è così. È fatta di gioie e delusioni, di risate e di pianti. Al diavolo Andrea. Tieniti la sua mielosa ragazzina che ti chiederà consiglio anche per andare a prendere un caffè! Io sono io. Non ho bisogno di consigli.

RDI SCRITTO NEL 2011 per partecipare ad un concorso 



Foto realizzata da RDI







 

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