PROLOGO: LE ORIGINI - PAGINE DI VETRO DI RDI
Il significato del mio nome ha radici che sprofondano nella terra di un paesino alle porte dell’Aquila.
Sono radici che assorbono il dolore, la forza e la caparbietà di una donna di nome Adelaide Mancini.
La sua, è una storia intarsiata da profondi scalfi.
Una storia che non apparirà mai sulle pagine patinate dei giornali o in una trasmissione televisiva.
È una disarmonia di avvenimenti rimasti imprigionati tra i vicoli e le case del suo paese.
Un’asimmetria di eventi che regnano nella sola memoria dei familiari o in qualche remoto ricordo impresso nella mente di un compaesano.
Una storia che sopravvive in una voce.
Una voce che avanza tra parole e toni per poi
spegnersi in futili maldicenze espresse dinanzi alla spoglia lapide di marmo, nel paesino ai piedi dell’aspro Gran Sasso.
Una verità dei fatti narratami, sin da bambina, come una favola senza lieto fine.
Rievocata con l’intento di consolare la piccola fanciulla dai ricci ribelli che si lamentava per quel nome così insolito.
“Il mio nome non piace a nessuno, dicono che è antico!” piagnucolavo.
“Lasciali parlare, che t’importa! Nessuno conosce davvero la storia della nonna. Sapessi quanta forza e quanta volontà è celata lì, in quelle otto lettere”: era così che iniziavano a raccontarmi di lei.
Era così che iniziava la fatata immersione nella vita di mia nonna.
Adelaide Mancini era nata circa un decennio prima che la guerra tornasse in Italia a mietere terrore e paura.
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